Diverticolite complicata: quando serve davvero l’intervento chirurgico
- Francesco Caruso
- 29 lug
- Tempo di lettura: 4 min

Quando parliamo di diverticolite, il confine tra una gestione medica e la necessità di un intervento chirurgico può essere sottile, ma decisivo. Ogni giorno visito pazienti che arrivano spaventati dopo una TAC eseguita in pronto soccorso, spesso con diagnosi di diverticolite “complicata”. È una parola che preoccupa, e giustamente: un conto è gestire un’infiammazione semplice del colon con dieta, analgesici e osservazione; un altro è affrontare ascessi, perforazioni, ostruzioni o fistole.
Ma vediamo davvero quando serve l’intervento, perché non tutte le diverticoliti complicate finiscono in sala operatoria — e anzi, molte si risolvono senza chirurgia, se gestite con competenza e tempestività.
Le complicazioni che cambiano tutto
La complicazione più frequente è l’ascesso periviscerale. In parole semplici: una sacca di pus che si forma attorno al colon infiammato. In molti casi, questi ascessi sono piccoli e rispondono bene a una terapia antibiotica mirata. Altri, più voluminosi, richiedono un drenaggio percutaneo sotto guida radiologica: una manovra mini-invasiva, efficace, che risparmia al paziente il trauma di un intervento d’urgenza.
Ricordo bene il caso di Andrea, un ingegnere di 48 anni, sportivo, sano, che non aveva mai avuto problemi digestivi. Una mattina si sveglia con dolore al fianco sinistro e febbre. Dopo qualche ora in pronto soccorso, la TAC rivela un ascesso di quasi 5 cm. In passato, sarebbe finito subito in sala operatoria. Invece, con un drenaggio eseguito in radiologia interventistica e una terapia antibiotica ben bilanciata, è tornato al lavoro in meno di due settimane. Nessun taglio, nessun ricovero prolungato, solo follow-up attento e una valutazione chirurgica differita.
Non tutti, però, hanno la stessa fortuna. Quando la diverticolite evolve verso una perforazione franca, con versamento di aria libera in addome o peritonite stercoracea, l’unica strada sicura è la sala operatoria. In questi casi, aspettare può essere fatale. Qui l’esperienza clinica gioca un ruolo decisivo: capire quando un paziente sta peggiorando, anche se gli esami sembrano stabili, è una questione di occhio, sensibilità e prudenza.
Intervenire, ma come?
Oggi, la chirurgia della diverticolite non è più sinonimo di tagli estesi e colostomie definitive. La laparoscopia ha rivoluzionato il nostro approccio. Anche in contesti d’urgenza, laddove ci siano le condizioni cliniche adeguate, è possibile rimuovere il tratto di colon malato e ricongiungere i segmenti intestinali (anastomosi primaria), evitando la colostomia.
Un importante studio europeo, il trial DIVA, ha mostrato che nei pazienti stabili, non immunodepressi e con perforazione purulenta o fecale, l’anastomosi primaria ha garantito una sopravvivenza senza stomia molto più alta rispetto al vecchio Hartmann, senza aumentare i rischi. I numeri sono chiari: oltre il 94% dei pazienti sottoposti ad anastomosi primaria sono rimasti senza stomia dopo un anno, contro il 71% del gruppo Hartmann. E questo, per un paziente, significa moltissimo. Significa tornare a una vita normale, senza sacche, senza traumi psicologici aggiuntivi.
Naturalmente, ci sono casi in cui l’anastomosi non è possibile, per esempio quando il colon a monte è troppo dilatato, il paziente è instabile, o ci sono infezioni diffuse. In queste situazioni, la prudenza chirurgica impone la colostomia, almeno temporanea. Ma è sempre più raro doverla rendere definitiva.
Il dopo, e l’“elettiva differita”
Molti pazienti con diverticolite complicata — ad esempio con ascesso trattato per via percutanea — vengono dimessi in buone condizioni e dimenticano l’episodio. Alcuni però, nel giro di pochi mesi, sviluppano recidive, stenosi o fistole.
È per questo che, dopo la risoluzione iniziale, si propone spesso una resezione elettiva del sigma a distanza di 4–6 settimane. Lo scopo è prevenire problemi futuri, soprattutto nei pazienti giovani o con rischio di nuove complicanze. In questa fase, la chirurgia mininvasiva ha un’efficacia eccellente e un recupero post-operatorio molto rapido.
Le complicazioni più temute: fistole e ostruzioni
Una complicazione silenziosa ma devastante è la fistola. Le più frequenti sono quelle colovescicali, in cui il colon si “apre” sulla vescica. Il paziente comincia ad avere infezioni urinarie continue, talvolta feci nelle urine, un campanello d’allarme inconfondibile. Anche le fistole colovaginali o colocutanee sono possibili, e tutte richiedono trattamento chirurgico. In questi casi, la chirurgia è quasi sempre elettiva e pianificata, con risultati molto buoni.
L’ostruzione intestinale da stenosi post-diverticolite è meno frequente, ma altrettanto seria. Quando il lume del colon si restringe tanto da impedire il passaggio delle feci, si crea un quadro di addome acuto, nausea, vomito, distensione. Qui l’intervento chirurgico è inevitabile e, talvolta, urgente.
La diverticolite complicata non è una sentenza, ma un nodo clinico che va sciolto con precisione, esperienza e personalizzazione. Non tutti i casi vanno operati, ma tutti devono essere seguiti con attenzione. La differenza tra guarigione completa e cronicizzazione spesso si gioca nei dettagli.
Quando operare, come operare, se drenare o osservare: non esistono ricette pronte, ma decisioni guidate da evidenze scientifiche, buon senso clinico e ascolto del paziente.
E se ti è stato detto che hai una diverticolite complicata, non spaventarti. Con la chirurgia moderna, e con una valutazione specialistica adeguata, le soluzioni ci sono — e funzionano.
Dr. Francesco Caruso
Specialista in chirurgia dell’apparato digerente
Chirurgia mininvasiva, proctologia, gastroenterologia
📍 Disponibile per visite specialistiche in Calabria, Milano e telemedicina
📞 Per appuntamenti: 333 8887415


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