La pancreatite può essere mortale?
- Francesco Caruso
- 1 ago
- Tempo di lettura: 3 min

Quando un paziente arriva in pronto soccorso con dolore epigastrico violento, nausea e vomito, spesso si sente dire che si tratta di “pancreatite acuta”.
La reazione tipica è un misto di sollievo (“non è un infarto”) e confusione (“cos’è il pancreas?”).
Poi, nelle ore successive, arrivano le domande più serie:“Ma è una cosa grave?”
“Potrei morire?”
La risposta è: sì, la pancreatite può essere mortale, ma non sempre lo è.
Come per molte patologie acute, la chiave sta nella gravità, nella rapidità della diagnosi e nella qualità della gestione.
Una patologia imprevedibile
La pancreatite acuta è una malattia estremamente eterogenea: può essere una condizione lieve che si risolve in pochi giorni senza complicazioni, ma anche una tempesta infiammatoria sistemica capace di portare il paziente in shock multiorgano nel giro di 24-48 ore.
Secondo i dati delle linee guida americane ACG 2024, la mortalità globale della pancreatite acuta è intorno al 5-6%, ma sale oltre il 30% nei casi più gravi, soprattutto se si sviluppano necrosi infetta, insufficienza respiratoria o renale.
Le due fasi della mortalità
La pancreatite acuta può portare al decesso in due momenti diversi:
1. Fase precoce (prime 72 ore)
In questa fase, il decesso è legato a una risposta infiammatoria sistemica eccessiva (SIRS), che può causare:
Shock ipovolemico
Insufficienza respiratoria acuta (ARDS)
Disfunzione multiorgano
Il rischio è massimo nei pazienti anziani, disidratati, già fragili o con comorbidità cardiovascolari.
2. Fase tardiva (dopo 1-2 settimane)
Qui entra in gioco la necrosi pancreatica, soprattutto se si infetta. Si tratta di una condizione complessa, spesso silenziosa nei primi giorni, che può peggiorare improvvisamente e portare a:
Sepsi severa
Peritonite o raccolte infette
Complicanze vascolari (pseudoaneurismi, emorragie digestive)
Emorragia massiva e shock settico
Ecco perché i pazienti con pancreatite severa devono essere gestiti in ambienti ad alta intensità di cura, possibilmente in ospedali con esperienza in gastroenterologia e chirurgia pancreatica.
Un caso clinico che fa riflettere
Qualche anno fa ho seguito un uomo di 58 anni, con ipertensione e lieve sovrappeso, arrivato in pronto soccorso per una “banale” pancreatite acuta da calcoli. Era vigile, normoteso, ma con lipasi elevata e dolore importante. Dopo 24 ore di trattamento standard (idratazione e analgesia), ha iniziato a peggiorare: febbre alta, dispnea, tachicardia, stato confusionale.
La TC ha mostrato una necrosi estesa. Ricoverato in terapia intensiva, ha affrontato 15 giorni difficili, con drenaggi, antibiotici mirati e ventilazione non invasiva. È sopravvissuto, ma ha capito (e fatto capire ai suoi cari) quanto sottovalutare la pancreatite possa essere pericoloso.
Oggi sta bene, è dimagrito, ha smesso di fumare e si è sottoposto a colecistectomia. Il suo pancreas, e la sua vita, sono salvi.
I fattori di rischio per una pancreatite mortale
Non tutti i pazienti con pancreatite hanno lo stesso rischio. Ecco i principali fattori che aumentano la probabilità di evoluzione grave o letale:
Età > 60 anni
Obesità viscerale
Diabete mal controllato
Ipotensione o tachicardia all’ingresso
Insufficienza renale precoce
Ematocrito elevato (>44%)
PCR >150 dopo 48 ore
Necrosi pancreatica all’imaging
Segni di SIRS persistente
In questi casi, il ricovero in unità monitorate o terapia intensiva è fondamentale.
La mortalità dopo le dimissioni: un aspetto spesso ignorato
Uno degli aspetti più sottovalutati è la mortalità a distanza. Studi recenti, tra cui uno olandese citato nel 2024 su Hepatobiliary Surgery and Nutrition, hanno evidenziato che il rischio di morte nei 90 giorni dopo la dimissione è paragonabile alla mortalità intraospedaliera.
La causa principale? Scompenso cardiaco e infezioni. Questo dato impone un follow-up strutturato, soprattutto nei pazienti fragili, diabetici o con pancreatite necrotica.
La buona notizia: si può sopravvivere… bene
Quando la pancreatite viene riconosciuta in tempo e gestita correttamente, la prognosi può essere ottima. Con il supporto di un team esperto, cure intensive iniziali e interventi mirati solo quando servono (come drenaggi o ERCP), la mortalità può essere drasticamente ridotta.
Nel mio ambulatorio seguo diversi pazienti che hanno avuto forme gravi, e oggi conducono una vita normale. La chiave? Tempestività, prudenza e continuità assistenziale.
Conclusioni
Sì, la pancreatite può essere mortale. Ma non è una condanna. È una condizione da non sottovalutare mai, da riconoscere in fretta e da affidare alle cure di un team preparato.La tempestività nella diagnosi, la valutazione del rischio, l’individuazione precoce di complicanze e il follow-up dedicato possono fare la differenza tra un esito negativo e una storia a lieto fine.
Chi ha avuto una pancreatite, non deve avere paura. Deve solo essere seguito con attenzione. Perché la medicina moderna, oggi, può salvare anche i casi più gravi — se si agisce in tempo.
Dr. Francesco Caruso
Specialista in chirurgia dell’apparato digerente
Chirurgia mininvasiva, proctologia, gastroenterologia
📍 Disponibile per visite specialistiche in Calabria, Milano e telemedicina
📞 Per appuntamenti: 333 8887415
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