Gastrite nervosa: quando lo stomaco soffre ciò che la mente nega
- Francesco Caruso
- 13 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 9 ago

Nel linguaggio comune, molti pazienti parlano di “gastrite nervosa” per descrivere un dolore epigastrico che compare in periodi di tensione, ansia, difficoltà relazionali, stanchezza emotiva. Ma, a differenza di quanto si creda, questa definizione popolare nasconde una verità clinica ben precisa, riconosciuta dalla comunità scientifica: la dispepsia funzionale, in particolare nelle sue varianti postprandiale (FD-PDS) ed epigastralgica (FD-EPS).
Secondo le linee guida della Rome Foundation (ROMA IV) e della World Gastroenterology Organisation (WGO) (Stanghellini V et al., Gastroenterology, 2016;150(6):1380–1392), la gastrite nervosa e dispepsia funzionale è una sindrome caratterizzata da:
Dolore o fastidio epigastrico
Sazietà precoce
Gonfiore postprandiale
Nausea intermittente
Assenza di lesioni evidenti alla gastroscopia
Il legame con la sfera psicoemotiva è oggi ritenuto centrale. L’asse intestino-cervello, regolato da meccanismi neuroendocrini e immunologici, fa sì che stati di ansia, depressione o disregolazione emotiva si esprimano sul piano viscerale. Non si tratta di “malattia immaginaria”, ma di reale disfunzione della percezione e della motilità gastrica, mediata da neurotrasmettitori, cortisolo, serotonina e risposta autonomica.
Nella mia attività specialistica incontro ogni settimana pazienti convinti di avere un'“infiammazione allo stomaco”. Eppure la gastroscopia è normale, le biopsie negative, l’helicobacter assente, il pH gastrico regolare. Nonostante ciò, il dolore persiste, talvolta più invalidante delle forme organiche.
Un caso che porto nel cuore è quello di una donna di 44 anni, impiegata, madre, molto controllata. Giunta da me con una storia di “gastrite refrattaria” da circa tre anni: epigastralgia continua, nausea mattutina, fame nervosa alternata a sazietà improvvisa. Aveva provato di tutto: IPP, antiacidi, procinetici, aloe, dieta in bianco, integratori. Alla gastroscopia: nulla. Alla mia proposta di valutare anche un aspetto emotivo, ha risposto, ferma: «Io non sono ansiosa. Non sono depressa. Il mio problema è nello stomaco, non nella testa».
Non ho insistito. Abbiamo proseguito con un trattamento farmacologico leggero e con consigli dietetici individualizzati. Ma, come prevedibile, non ha funzionato. Ha interrotto i controlli. Dopo tre anni, una mattina si è ripresentata in studio, sorridente, più luminosa nel volto. Si è seduta, mi ha guardato e ha detto: «Dottore, volevo ringraziarla. Non allora, ma oggi. Perché aveva ragione. Dopo un momento di crollo, mi sono fatta aiutare. Ho cominciato un percorso psicoterapico, e per la prima volta ho capito che il mio stomaco stava urlando ciò che io avevo messo a tacere da anni. Oggi sto bene. Mangio tutto, senza paura. E sono rinata».
La gastrite nervosa — ovvero la dispepsia funzionale di origine psicosomatica — non migliora con le sole cure farmacologiche. Le linee guida ACG 2022 (American College of Gastroenterology) indicano infatti che il trattamento deve essere biopsicosociale, e può includere:
Brevi cicli di neuromodulatori (es. mirtazapina o amitriptilina a basse dosi)
Psicoterapia cognitivo-comportamentale
Mindfulness e tecniche di rilassamento
Attività fisica costante e strutturata
Dieta adattata alla tolleranza individuale, non restrittiva a oltranza
Inoltre, uno studio fondamentale del 2021 pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology (Talley NJ et al.) ha dimostrato che gli interventi psicoeducativi sono in grado di ridurre significativamente i sintomi dispeptici e migliorare la qualità della vita, più degli IPP nei casi senza lesioni organiche.
La mente, in questi pazienti, non è la causa immaginaria del dolore, ma il tramite attraverso cui il corpo grida ciò che non viene elaborato. Lavorare solo sullo stomaco, in questi casi, è come tentare di asciugare il mare con una spugna.


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