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Come si cura la pancreatite acuta - le nuove linee guida


Dr. Francesco Caruso - Specialista in chirurgia mininvasiva e senza dolore - Tel. 333/8887415 - mail: carusochirurgo@gmail.com
Dr. Francesco Caruso - Specialista in chirurgia mininvasiva e senza dolore - Tel. 333/8887415 - mail: carusochirurgo@gmail.com

La pancreatite acuta è una delle condizioni più frequenti e temute nei reparti di medicina e chirurgia d’urgenza. Per anni, la gestione si è basata su protocolli variabili e spesso anacronistici: digiuno assoluto per giorni, antibiotici “a prescindere”, e imaging ripetuti.


Oggi le cose sono cambiate radicalmente. Le nuove linee guida italiane (SIGE-AISP-SIC 2023) e quelle americane (ACG 2024) hanno ridefinito tempi, modalità e priorità nel trattamento della pancreatite acuta.


In questo articolo facciamo chiarezza: cosa funziona davvero? Quando serve il digiuno? Gli antibiotici aiutano? E quando bisogna intervenire chirurgicamente?


Il primo passo: idratazione, ma con criterio


Nei primi giorni, la terapia si gioca su un elemento fondamentale: l’idratazione endovenosa. È scientificamente dimostrato che una corretta reidratazione riduce il rischio di necrosi pancreatica, insufficienza d’organo e mortalità.


Ma attenzione: non si tratta di infondere liquidi “a secchiata”. Le raccomandazioni attuali indicano una idratazione moderatamente aggressiva nelle prime 24 ore, preferendo soluzione di Ringer lattato alla fisiologica. La velocità e i volumi vanno adattati al peso, alla pressione arteriosa, all’ematocrito e alla funzione renale.


Ricordo bene un paziente giovane, sportivo, ricoverato con pancreatite acuta da trauma addominale. La TC mostrava edema diffuso, ma senza necrosi. È stato trattato con liquidi mirati, monitoraggio stretto e oppioidi. Dopo 72 ore, era già in piedi. Se avessimo seguito i vecchi protocolli “3 litri al giorno a tutti”, avremmo probabilmente causato un sovraccarico con rischio di sindrome compartimentale.


Digiuno o alimentazione precoce?


Un tempo si pensava che il pancreas avesse bisogno di “riposare”. Si tenevano i pazienti a digiuno per giorni, nutrendoli con flebo o soluzioni parenterali. Oggi sappiamo che questa strategia può peggiorare l’outcome.


Le nuove linee guida consigliano di iniziare l’alimentazione orale precoce, entro 24-48 ore, non appena il dolore si riduce e il paziente non vomita. E non è necessario iniziare con liquidi: si può passare direttamente a una dieta solida povera di grassi.

Nelle forme gravi, l’alimentazione deve avvenire per via enterale, preferibilmente tramite sondino nasogastrico, evitando la nutrizione parenterale che aumenta il rischio infettivo.


Controllare il dolore (senza paura degli oppioidi)


Il dolore è uno dei sintomi più invalidanti e va trattato in modo deciso. Gli oppioidi restano la prima scelta, nonostante i timori passati legati al possibile peggioramento del quadro. Studi recenti, compresi trial randomizzati, confermano che non aumentano la severità della pancreatite e garantiscono un migliore controllo dei sintomi.


Nel mio ambulatorio, seguo da tempo un ex alcolista di 62 anni, con due episodi di pancreatite acuta negli ultimi anni. Alla prima occasione era stato lasciato con paracetamolo e scarsi risultati. Alla seconda, ricoverato sotto la mia supervisione, è stato gestito con buprenorfina sublinguale: sollievo immediato, mobilizzazione precoce e dimissione in 5 giorni. L’efficacia del trattamento cambia il decorso clinico, ma anche la fiducia del paziente.


Antibiotici: solo se serve davvero


Un altro grande cambiamento riguarda l’uso degli antibiotici. Le attuali linee guida sono chiarissime: niente antibiotici di routine, nemmeno nelle forme gravi, a meno che non ci sia una chiara infezione (come necrosi infetta, colangite, batteriemia).

Un interessante studio recente ha dimostrato che l’uso della procalcitonina può aiutare a decidere se iniziare o meno la terapia antibiotica. Questa strategia ha ridotto del 40% l’uso di antibiotici inutili nei pazienti con pancreatite acuta.


Quando serve l’intervento chirurgico o endoscopico?


Nella maggior parte dei casi, la pancreatite si risolve senza necessità di intervento. Ma ci sono alcune eccezioni:


  • Pancreatite biliare: è indicata la colecistectomia precoce, idealmente durante il ricovero o subito dopo, per prevenire recidive.

  • Colangite acuta o calcoli nella via biliare principale: necessaria una ERCP precoce (entro 24 ore).

  • Necrosi infetta o raccolte sintomatiche: si adottano approcci minimamente invasivi (drenaggi endoscopici o percutanei), preferibilmente dopo 4 settimane, quando le raccolte sono maturate (walled-off necrosis).


La chirurgia “open” è ormai riservata a pochissimi casi refrattari.


L’importanza del follow-up


Un aspetto spesso trascurato è il controllo a distanza dopo un episodio di pancreatite acuta. I dati più recenti mostrano che fino al 25% dei pazienti sviluppa insufficienza pancreatica (esocrina o endocrina), e molti possono avere recidive se non trattano la causa (es. calcolosi, alcol, ipertrigliceridemia).


Inoltre, il rischio di mortalità nei 90 giorni dopo la dimissione è sorprendentemente alto, spesso per complicanze cardiache, soprattutto nei pazienti anziani.

Per questo motivo consiglio sempre un controllo a 30-60 giorni con esami ematici, ecografia e, se necessario, dosaggio della elastasi fecale o test del respiro per la funzione esocrina.


Conclusioni


La gestione della pancreatite acuta è cambiata profondamente. Le linee guida oggi puntano su:


  • Idratazione mirata

  • Alimentazione precoce

  • Analgesia efficace

  • Uso selettivo degli antibiotici

  • Interventi solo quando realmente necessari


Ma soprattutto: ascoltare il paziente, valutare il contesto, adattare la terapia. È questo che fa la differenza tra un ricovero ordinario e una storia di successo.


Dr. Francesco Caruso

Specialista in chirurgia dell’apparato digerente

Chirurgia mininvasiva, proctologia, gastroenterologia

📍 Disponibile per visite specialistiche in Calabria, Milano e telemedicina

📞 Per appuntamenti: 333 8887415

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