Acalasia e disturbi benigni della deglutizione: diagnosi, trattamento e ritorno alla normalità
- Francesco Caruso
- 13 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 6 ago

Tra i numerosi disordini funzionali dell’esofago, l’acalasia rappresenta uno dei più complessi, ma anche uno dei più risolvibili, se diagnosticato e trattato correttamente. Si tratta di una patologia benigna, rara ma impattante, causata da una degenerazione progressiva dei plessi nervosi esofagei, che determina la perdita della peristalsi e il mancato rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore (LES).
Secondo le linee guida della American College of Gastroenterology (ACG) aggiornate nel 2020 (“ACG Clinical Guidelines: Diagnosis and Management of Achalasia”, Vaezi MF et al., Am J Gastroenterol 2020;115(9):1393–1411), la diagnosi di acalasia si basa sull'associazione clinico-funzionale: disfagia progressiva per solidi e liquidi, rigurgito notturno, perdita di peso e, nei casi avanzati, dilatazione esofagea.
La manometria esofagea ad alta risoluzione rappresenta il gold standard diagnostico. Grazie alla classificazione di Chicago v4.0 (Pandolfino JE et al., Neurogastroenterol Motil, 2021), oggi siamo in grado di distinguere tre sottotipi manometrici di acalasia (I, II e III), ciascuno con diverse implicazioni terapeutiche.
Accanto all'acalasia, esistono altre forme funzionali benigne di disfagia, come i disturbi da ipercontrattilità esofagea (esofago a "jackhammer"), l’EGJ outflow obstruction e le contrazioni premature (disturbo tipo “spasmo esofageo diffuso”), ciascuno con un percorso diagnostico e terapeutico distinto ma ugualmente importante. Il primo passo è sempre una valutazione clinica dettagliata, seguita da endoscopia digestiva, manometria e spesso studio radiologico con bario.
La gestione dell’acalasia è oggi personalizzata, come indicato anche dalle linee guida dell’European Society of Neurogastroenterology and Motility (ESNM) e della European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) (Schlottmann F et al., United European Gastroenterol J. 2021;9(6):704-713). Le opzioni includono la dilatazione pneumatica, l’iniezione di tossina botulinica, la miotomia chirurgica laparoscopica secondo Heller con fundoplicatio parziale, e più recentemente la POEM (Per-Oral Endoscopic Myotomy).
Nella mia esperienza chirurgica, il trattamento più efficace e duraturo nei pazienti con acalasia tipo I e II resta la miotomia extramucosa sec. Heller con fundoplicatio tipo Dor, eseguita in laparoscopia. Questo approccio garantisce la risoluzione dei sintomi nella quasi totalità dei casi e una drastica riduzione del rischio di reflusso post-operatorio, grazie alla fundoplicatio anteriore parziale.
Ricordo con chiarezza alcuni casi complessi, giunti alla mia osservazione dopo anni di tentativi falliti con dilatazioni endoscopiche ripetute. Una paziente di 42 anni, con disfagia ingravescente da oltre 6 anni e una diagnosi tardiva di acalasia tipo II, ha ritrovato una qualità di vita completa dopo l'intervento chirurgico. Dopo appena 72 ore dall’operazione, è riuscita a riprendere l’alimentazione liquida senza dolore né rigurgito; a 6 mesi il controllo manometrico e radiologico ha confermato la completa efficacia del trattamento. Oggi conduce una vita normale, senza alcuna limitazione alimentare.
Analogamente, un paziente di 60 anni, affetto da un raro caso di esofago ipercontrattile con disfagia e dolore toracico severo, ha beneficiato di un approccio combinato tra terapia farmacologica mirata e chirurgia antireflusso. Il follow-up ha evidenziato un recupero pressoché completo della funzione esofagea.
La scelta del trattamento più adeguato deve sempre considerare l’età, le comorbidità, il tipo manometrico e la disponibilità di centri ad alta specializzazione. Il successo, tuttavia, dipende anche e soprattutto dall’esperienza multidisciplinare dell’équipe e dalla capacità di offrire una diagnosi tempestiva.
A chi soffre in silenzio di disfagia, a chi ha ricevuto diagnosi parziali o imprecise, ricordo che esistono soluzioni concrete e risolutive, che restituiscono normalità e dignità al semplice atto di nutrirsi.


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